La catena della solidarietà

Era di sabato. Ancora un sabato mattina.
La data era quella storica: l’11 settembre. Ma non quello del 2001. Quello del 2010.

Giuseppe, Antonio e Vincenzo erano stati chiamati per smontare un ponteggio all’interno di un recipiente utilizzato per la produzione di prodotti farmaceutici.
Erano semplici muratori, bravi nel loro lavoro (da muratori) che svolgevano da anni.
Ma non sapevano che in quel silos c’erano dei residui di lavorazione effettuati con una miscela di prodotti che impedivano la naturale presenza dell’ossigeno necessario per la respirazione.
Giuseppe è morto per tentare di salvare Antonio e Vincenzo che all’interno del silos avevano avvertito i primi malori dovuti all’assenza di ossigeno. È morto per la cosiddetta “catena della solidarietà”.

Giuseppe infatti rientra nella casistica che stima in circa il 60% delle vittime soccorritori in un incidente in uno spazio confinato dovuto alla catena di solidarietà.
In questi giorni “si celebra” la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del tanto atteso Accordo Stato Regioni che definisce le modalità e le tipologie di formazione da erogare ai lavoratori in ogni ambito: quello del 17 aprile 2025. La Gazzetta Ufficiale è la n. 119 del 24 maggio 2025 per chi non lo sapesse.

Ebbene.

Per gli “spazi confinati” ci sono voluti ben 14 anni per definire i contenuti della formazione previsti dal DPR 177 del 2011. 14 anni!!!!!!!!!
Per precisione però non chiamiamoli spazi confinati ma “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”.
Anche se questa definizione “sospetti di inquinamento” devo dirvi che qualche volta non è piaciuta a qualche addetto ai lavori. Spazi confinati “suona meglio e fa meno paura”.

E poi occorre una Norma UNI, la UNI 11958:2024 (entrata in vigore il 14 novembre 2024) per definire la classificazione degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento, la identificazione e valutazione dei rischi, le procedure operative ed emergenziali, i DPI, nonché ruoli e compiti dei lavoratori.

Ma Giuseppe, Antonio e Vincenzo sono morti nel 2010.
Prima dell’emanazione del DPR 177/2011 e pochi anni (2) dopo il D.lgs. 81/2008.

Per precisione il D.lgs. 626/94 non parla di spazi confinati essendo contemporaneamente ancora in vigore il DPR 547/55.

Quindi Giuseppe, Antonio e Vincenzo sono morti 55 anni dopo l’emanazione del DPR 547/55 e come detto 2 anni dopo il D.Lgs. 81/08.

E quindi??????

Volevo qui solo riprendere e condividere alcune indicazioni (direi misure di prevenzione) richiamati dal DPR 547/55 e successivamente del D.Lgs. 81/08

DPR 547/55 Titolo VIII Materiali e prodotti pericolosi e nocivi

Art. 354 Concentrazioni pericolose – Segnalatori automatici

Nei locali o luoghi di lavoro, o di passaggio deve essere per quanto tecnicamente possibile impedito o ridotto al minimo il formarsi di concentrazioni pericolose o nocive di gas, vapori o polveri esplodenti, infiammabili, asfissianti o tossici; in quanto necessario, deve essere provveduto ad una adeguata ventilazione al fine di evitare dette concentrazioni.
Nei locali o luoghi indicati nel primo comma, quando i vapori ed i gas che possono svilupparsi costituiscono pericolo, devono essere installati apparecchi indicatori e avvisatori automatici atti a segnalare il raggiungimento delle concentrazioni o delle condizioni pericolose. Ove ciò non sia possibile, devono essere eseguiti frequenti controlli o misurazioni.

 

DPR 547/55 Titolo VI Impianti ed apparecchi vari

Art. 235. Aperture di entrate nei recipienti

Le tubazioni, le canalizzazioni e i recipienti, quali vasche, serbatoi e simili, in cui debbano entrare lavoratori per operazioni di controllo, riparazione, manutenzione o per altri motivi dipendenti dall’esercizio dell’impianto o dell’apparecchio, devono essere provvisti di aperture di accesso aventi dimensioni non inferiori a cm. 30 per 40 o diametro non inferiore a cm. 40.

Art. 236. Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici od asfissianti

Prima di disporre l’entrata di lavoratori nei luoghi di cui all’art. 235, chi sovraintende ai lavori deve assicurarsi che nell’interno non esistano gas o vapori nocivi o una temperatura dannosa e deve, qualora vi sia pericolo, disporre efficienti lavaggi ventilazione o altre misure idonee.
Colui che sovraintende deve, inoltre, provvedere a far chiudere e bloccare le valvole e gli altri dispositivi dei condotti di comunicazione col recipiente, e a fare intercettare i tratti di tubazione mediante flange cieche o con altri mezzi equivalenti ed a far applicare, sui dispositivi di chiusura o di isolamento, un avviso con l’indicazione del divieto di manovrarli.
I lavoratori che prestano la loro opera all’interno dei luoghi predetti devono essere assistiti da altro lavoratore, situato nell’esterno presso l’apertura di accesso.
Quando la presenza di gas o vapori nocivi non possa escludersi in modo assoluto o quando l’accesso al fondo dei luoghi predetti è disagevole, i lavoratori che vi entrano devono essere muniti di cintura di sicurezza con corda di adeguata lunghezza e, se necessario, di apparecchi idonei a consentire la normale respirazione.

E poi arriva il D.Lgs. 81/08 e che succede?

D.Lgs. 81/08 Art. 66 Lavori in ambienti sospetti di inquinamento

1. È vietato consentire l’accesso dei lavoratori in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata previamente accertata l’assenza di pericolo per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei. Quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, i lavoratori devono essere legati con cintura di sicurezza, vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra, forniti di apparecchi di protezione.
L’apertura di accesso a detti luoghi deve avere dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi.

D.Lgs. 81/08 Allegato IV Requisiti dei luoghi di lavoro

3. VASCHE, CANALIZZAZIONI, TUBAZIONI, SERBATOI, RECIPIENTI, SILOS
3.1. Le tubazioni, le canalizzazioni e i recipienti, quali vasche, serbatoi e simili, in cui debbano entrare lavoratori per operazioni di controllo, riparazione, manutenzione o per altri motivi dipendenti dall’esercizio dell’impianto o dell’apparecchio, devono essere provvisti di aperture di accesso aventi dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi.
3.2.1. Prima di disporre l’entrata di lavoratori nei luoghi di cui al punto precedente, chi sovraintende ai lavori deve assicurarsi che nell’interno non esistano gas o vapori nocivi o una temperatura dannosa e deve, qualora vi sia pericolo, disporre efficienti lavaggi, ventilazione o altre misure idonee.
3.2.3. I lavoratori che prestano la loro opera all’interno dei luoghi predetti devono essere assistiti da altro lavoratore, situato all’esterno presso l’apertura di accesso.
3.2.4. Quando la presenza di gas o vapori nocivi non possa escludersi in modo assoluto o quando l’accesso al fondo dei luoghi predetti è disagevole, i lavoratori che vi entrano devono essere muniti di cintura di sicurezza con corda di adeguata lunghezza e, se necessario, di apparecchi idonei a consentire la normale respirazione.

Ebbene.

Possiamo celebrare quanto vogliamo i nuovi accordi, i nuovi contenuti, le nuove modalità organizzative e procedurali. Fare convegni, seminari, webinar, ecc.
Ma la domanda è: abbiamo imparato a leggere ed applicare le norme?
Non è polemica. Ma è rabbia e dolore.
Rabbia e dolore per la morte dei Giovanni, degli Antonio e dei Vincenzo che sono morti perché nessuno e dico nessuno (me compreso!!!!!!!) ha (o aveva) mai letto e quindi applicato le misure di prevenzione che la norma, quella del 1955, già ci forniva.
Confesso che da Ingegnere Civile Idraulico solo nel 2010 ho scoperto che il settore con un’incidenza infortunistica mortale più elevata dovuta a spazi confinati erano le costruzioni idrauliche (con il 16,7%) e lo smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque di scarico e simili (con l’11,9%). L’ho “scoperto” dopo 20 anni dalla laurea!!
Ma oggi nel 2025 per fortuna abbiamo l’Accordo Stato Regioni.
Oggi finalmente sappiamo come procedere, organizzare e formare.
E quindi nessun lavoratore rischierà di morire in uno spazio confinato,
Anzi che dico: in un ambiente “sospetto di inquinamento”.

Ing. Carmine Piccolo

Chi siete? Dove andate? Cosa portate? Un fiorino.

Me la ricordo ancora la frase ”Chi siete? Dove andate? Cosa portate? Un fiorino” in quel film di Massimo TroisiNon ci resta che piangere”. Era il 1984 ed io avevo appena 11 anni.
E dello stesso film mi ricordo anche la frase “Ricordati che devi morire”. E come rispose Massimo “Mò me lo segno” anche io pensai che prima o poi dobbiamo morire tutti. Ma non pensavo di dover morire cadendo da un’impalcatura a soli 41 anni.
Si, ero un lavoratore come si dice “a nero”. E in quel cantiere io non ci dovevo stare.

E forse, se qualcuno avesse visto come me il film, io in quel cantiere non ci sarei mai entrato e non sarei morto.
Ma si sa nella vita, e in quel caso nella morte, le cose non avvengono mai da sole, ma sono un insieme di situazioni che possono decidere il destino nel bene e nel male.
È pur vero che era un sabato pomeriggio, e si lavorava anche di sabato perché bisognava correre per concludere i lavori. E per far prima i miei colleghi (quelli “inquadrati”) mi avevano chiesto di andare con loro per finire il lavoro e tornare casa “prima”.
Era sabato, e tutti almeno il sabato pomeriggio vorrebbero stare a casa per “prepararsi” alla domenica. Per accompagnare mia moglie a fare la spesa. Per giocare con le mie bambine.
Ma io a casa non ci sono tornato.
Quello che poi non si è capito è come e perché sono caduto da quell’impalcatura.
Che fossi morto è certo. Ma da dove fossi caduto purtroppo non è mai stato proprio chiaro.
Si, è vero che sul ponteggio hanno riscontrato l’assenza di una “tavola di ponte”.
Una tavola di ponte di 50×180 cm che mancava dal piano del ponteggio. Ma io non ricordo se sono caduto proprio da quel punto dove mancava la tavola. E anche se lo ricordassi come farei a raccontarlo?
Sui giornali c’era scritto che il ponteggio da dove sono caduto non era a norma.
E qualcuno ha anche scritto chiedendosi perché io fossi su quel ponteggio “fuori norma”.

Ma la domanda è: come potevo sapere io se quel ponteggio era a norma o meno?
Ero “a nero”. E non avevo mai fatto nessun corso di formazione, nessuna visita medica da parte del medico competente.
Insomma non ero consapevole dei rischi presenti in un cantiere e in quel cantiere, forse se avessi fatto un corso di formazione sarei stato in grado di sapere che quel ponteggio era fuori norma.
E forse non sarei salito. Forse…
Ma io ero “a nero” e a quel corso di formazione non ho mai partecipato.
Ma la domanda è sempre la stessa. Che ci facevo in quel cantiere?
E le frasi di quel film mi ritornano sempre in mente.
Chi siete? Dove andate? Dove andate? Un fiorino.
Ed io avrei risposto: Sono un lavoratore a nero, non formato.
E chi era all’ingresso avrebbe dovuto rispondere: allora non puoi entrare!
E quel sabato sarei tornato a casa, magari senza soldi, ma certamente vivo per trascorrerlo con mia moglie e le mie figlie.

Ing. Carmine Piccolo

La “governabilità” dei rischi

Sono passati 12 anni da quella maledetta sera, quando alle 23:05 una nave urtò la torre piloti di Genova causando la morte di 9 giovani vite.
Non entro nel merito della dinamica dell’evento nota a tutti, ma vorrei ritornare su quello che è stato uno dei quesiti posti alla base del processo, e che ha coinvolto Datori di Lavoro e RSPP del Corpo Piloti, dell’Autorità Portuale e dei Rimorchiatori Riuniti.

Quanto era prevedibile che una nave colpisse la torre?

È questo il quesito posto al centro del procedimento giudiziario e riportato, come di seguito esposto, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari:

Il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ….. omettevano di valutare il notorio rischio derivate da urti di navi in manovra legati ad errori umani, e/o avarie, omettevano di aggiornare il documento di valutazione dei rischi e non predisponevano alcuna misura atta a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori in relazione a tali eventi. Con negligenza, imprudenza ed imperizia e con violazione degli artt. 17, 28 e 33 del decreto 81/2008.

Certo con il senno di poi tutti abbiamo pensato: ma chi è che ha posizionato la torre in quel punto?
È naturale pensarlo.
Ma qui stiamo parlando di omessa valutazione dei rischi nell’ambito del documento previsto dall’art.28 del D.Lgs. 81/08
E poi mi chiedo.
Ma se il RSPP avesse evidenziato la presenza di tale rischio cosa sarebbe accaduto?
Il Datore di lavoro avrebbe spostato la torre?
Oppure avrebbe messo una barriera di protezione davanti alla torre?
Oppure avrebbe impedito il transito delle navi in adiacenza alla torre?
La risposta non è disponibile.

La mia analisi è quella di un RSPP che deve prevedere qualcosa che è imprevedibile prima che accada, ma diventa prevedibile quando poi è accaduta!
Rammentiamo che non è facile per un RSPP evidenziare al Datore di Lavoro una serie di rischi con scarsa o minima probabilità di evento. Si rischia che più che eliminare il rischio… si cambia il RSPP!
Ma per fortuna questo non accade.

Il caso della Torre Piloti però ha introdotto un concetto innovativo a mio parere, ossia la distinzione tra rischi interni e rischi esterni ed il concetto di “governabilità” dei rischi.

A tal fine si estrapolano alcuni punti riportati nella sentenza n. 1660 del 15/09/2020 del Tribunale di Genova.
I “rischi interni” all’ambiente di lavoro devono essere gestiti e governati dal datore di lavoro e conseguentemente devono essere sempre valutati nel relativo documento al fine della loro eliminazione e del loro depotenziamento sulla base delle più idonee misure cautelari da individuare attraverso la corretta attivazione dei vari strumenti predisposti dal decreto 81/08.

In merito ai “rischi esterni”, nella sentenza si esclude la possibilità di valutazione ai sensi dell’art. 28 dell’urto da nave contro la torre piloti. Infatti risulta possibile che un rischio possa essere inserito e valutato nel relativo documento qualora, a seguito della sua attenta valutazione, il datore sia in grado attraverso la puntuale adozione dei vari strumenti stabiliti dal decreto di prevenirne la concretizzazione, eliminandolo ovvero, laddove si concretizzi, di depotenziarne le conseguenze lesive rispetto all’integrità dei suoi dipendenti.

Ciò in quanto se si tratta di rischio non gestibile e governabile dal datore di lavoro la sua valutazione all’interno del documento di cui all’art. 28 perde evidentemente senso nella prospettiva della funzione che la valutazione stessa deve assolvere.

L’art. 33 correla il compito del servizio di prevenzione di provvedere alla valutazione dei rischi alla elaborazione delle misure preventive e protettive, nonché all’elaborazione di procedura di sicurezza ed alla proposta di programmi di informazione e formazione dei lavoratori, e da ciò consegue che i rischi valutati dal servizio non possano che essere quelli eliminabili o depotenziabili proprio attraverso le misure e procedure, nonché i sistemi di controllo e dei programmi di formazione ed informazione dei lavoratori.
Si pensi ad esempio alle calamità naturali o del deragliamento di un treno che possono coinvolgere luoghi di lavoro ed i relativi lavoratori occupanti.
Appare indubbio, come riportato nella sentenza di che trattasi che fa riferimento agli eventi di cui sopra, che tali rischi – proprio perché ingovernabili da parte del datore di lavoro – non possono rientrare nella valutazione contenuta nel documento di cui agli artt. 17 e 28, dal momento che tale valutazione ed il corretto compendio di strumenti organizzativi aziendali finalizzati alla prevenzione ed alla protezione resterebbero del tutto ininfluenti nella prospettiva della funzione che devono assolvere.

In definitiva dunque non è tanto la natura interna o esterna della fonte di produzione del rischio a fungere da discrimine al fine di individuare in casi in cui è doverosa la sua valutazione da parte del datore all’interno del relativo documento, quanto piuttosto la concreta governabilità per il datore del rischio stesso a mezzo dei vari strumenti organizzativi predisposti sulla base della previsione del decreto 81/08.

Ne deriva che l’art. 28 del decreto 81/08, nella parte in cui impone al datore la valutazione nel relativo documento di “tutti i rischi”, deve intendersi riferito ai soli rischi governabili da parte del datore di lavoro attraverso i vari strumenti predisposti dal decreto stesso.

I RSPP sono stati tutti assolti.

Ma la domanda resta sempre nella nostra testa. Perché proprio in quel punto la torre?
Ma questa non è materia da D.Lgs. 81/08.

Ing. Carmine Piccolo

La scala e il rischio proprio

Era un sabato mattina, c’era il sole e Napoli era in fermento come al solito nelle zone del centro storico, e io dovevo pulire le vetrine del negozio.
Lo avevo già fatto tante volte. Semplice e “pulito” come lavoro. Ma non era il solito sabato. Quel mattino mio fratello mi chiamò e mi disse che aveva un “brutto male”.
Restammo a telefono per un tempo indefinito. Non so cosa gli dissi. Molte volte in questi casi non ci sono le parole giuste, ma si vuole far sapere che “ci sei”.
Ripresi a lavorare e piazzai la scala vicino alla vetrina per pulirla. Non feci caso al fatto che la strada fosse leggermente in pendenza e che avessi messo la scala in posizione non corretta rispetto alla pendenza. Mi accorsi anche che non tutti i piedi della scala “toccavano” a terra. Mi guardai intorno, e raccolsi un pezzo di carta per “stabilizzare” la scala: la famosa zeppa.
Salii sulla scala e dopo poco, non so perché, sono caduto. Ho battuto la testa e purtroppo sono morto.
In tanti si sono chiesti perché.
Eppure la scala era a norma e aveva anche i corretti riferimenti alla norma UNI 131.
La scala era di mia proprietà. L’avevo comprata io da poco, era nuova.
Mi fecero anche l’autopsia per capire se avessi preso la scossa da una presa che penzolava fuori alla vetrina. Ma non era stata quella la causa.

Ah, dimenticavo. Ero un lavoratore autonomo di quelli di cui all’art. 21 del D.Lgs. 81/08, quello che recita quanto segue:

Articolo 21 – Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi
1. I componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III, nonché idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al Titolo IV;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.

Ma non lo conoscevo questo art. 21. Non lo avevo mai letto. Anzi non avevo mai letto il D.Lgs. 81/08.
Ma ogni volta che lo rileggo (e qui dove sono ne ho di tempo per rileggerlo) mi accorgo che non era un obbligo partecipare a corsi di formazione specifici in materia di sicurezza. È facoltà!!!
Quindi se è facoltà non è un obbligo e allora mi chiedo come avrei potuto conoscere i rischi connessi all’utilizzo della scala.
E nemmeno era obbligo (ma facoltà) di beneficiare della sorveglianza sanitaria. E se fossi caduto per le vertigini considerata anche la mia età?
Forse se avessi fatto una visita dal medico competente avrei saputo che non potevo salire sulla scala. E forse non sarei morto!
E poi un amico qui, e vi dico che qui dove sono di amici “morti” come me (quelli delle “morti bianche”) ce ne sono tanti, mi ha detto che c’è un altro articolo del D.Lgs. 81/08 che non conoscevo:

Art. 113 Scale
5. Quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute al piede da altra persona.

Quindi forse non dovevo utilizzare la scala da solo e dovevo andare a fare quel lavoro con un’altra persona? Ma io ero un lavoratore autonomo e mi hanno dato questa definizione:

Lavoratore autonomo: secondo la definizione il lavoratore autonomo è un lavoratore indipendente ovvero che svolge la propria attività da solo, senza l’aiuto di propri dipendenti o equiparati (quindi senza organizzazione) e che si impegna a portare a compimento una determinata opera che gli è stata affidata dal committente con gestione a proprio rischio.

Alla fine sono morto per colpa mia, perché la gestione del rischio era a carico mio e perché il rischio di cadere dalla scala (e poi morire) era proprio della mia attività.
Sono morto per un rischio proprio!!!
Un’ultima cosa. Ma perché qui ci chiamano “morti bianche”? Continuiamo a chiedercelo tutti noi quassù ma non riusciamo a darci una risposta.

 

Ing. Carmine Piccolo

L’ Opel Corsa e… le quattro ruote nuove

Sono passati più di 20 anni e ancora mi ricordo le parole dette dal Responsabile di un supermercato (alias preposto) alla fine di un sopralluogo.
Mi accompagnò alla porta e salutandomi mi disse:
Ingegne’. Ma io tengo un’Opel Corsa con le quattro ruote nuove. Ma vado sicuro?
Sto ancora oggi a chiedermi se mi stesse prendendo per i fondelli (per non dire c…o!!) o aveva capito il senso del mio lavoro, e quindi se fosse giusto che un’autovettura avesse le ruote nuove e non “lisce” per eliminare o ridurre il rischio di scivolamento (e quindi un possibile infortunio “in itinere”)
Eppure non era cominciata male la giornata. Me lo ricordo.
Durante il sopralluogo parlavamo del più e del meno e passeggiavamo per i reparti.
Il macellaio, molto bravo nonché figlio di macellaio, sfasciava la carne. I DPI diceva di averli, che gli erano stati forniti. Ma quando gli ho chiesto dove fossero mi ha risposto:
Ingegne’ adesso li tenevo. Stanno qui dentro. No attenzione stavano qui! Ma chi li ha presi???. Sono sicuro che stavano qui.
Ingegnè non mi dite niente. Non li trovo. Forse li avrà presi il salumiere per sfasciare il prosciutto.
Ma poi. Non è mai successo niente. Nessuno si è mai tagliato. Perche deve succedere proprio a me???
Saluto il macellaio e sempre passeggiando per il supermercato trovo un’ uscita di sicurezza chiusa a chiave con merce che ne impedisce la fruibilità.
Chiedo al Responsabile che mi accompagna (sempre preposto) e lui mi risponde:
Ingegnè da qui i clienti scappano con la merce e noi dobbiamo corrergli appresso. Ma poi Ingegnè perché stamattina “trovate” tutti questi problemi. Perché non andate in un altro supermercato? Proprio qua dovevate venire?

Non era ancora Natale, faceva caldo, ma gli estintori erano già spariti. In realtà c’erano. Ma erano coperti da merce o bancali. E anche qui chiedo al mio accompagnatore (anche addetto antincendio), che stava cominciando ad innervosirsi, come mai gli estintori non fossero visibili e fruibili. La sua risposta fu la seguente:
Ma ingegnè non è che portate nu poco male? Comm po’ piglia fuoco o magazzin…????
Si era fatto tardi, dovevo andare via, ma prima di uscire guardai la scala che utilizzava uno scaffalista. Mancava di ogni riferimento normativo ed era sprovvista dei piedini in gomma antiscivolo.
Guardo il mio accompagnatore e senza chiedere “leggo” nel suo viso una espressione di curiosità di chi si chiede cosa non andasse in quella scala.
Nel mentre avevo visto fili elettrici volanti e prese multiple non a norma. E ancora avevo visto che la scaffalista lavorava con una scarpa tacco 20, e non ultimo un muletto che “sfrecciava” nel parcheggio clienti con il conducente senza cintura di sicurezza. Ma questo all’omino che mi accompagnava non lo avevo detto (ma scritto nel rapporto di audit).
Mi accompagnò all’uscita, felice che quel tormento fosse finito e con espressione felice mi salutò con la fatidica frase.
Me ne andai curioso e pensieroso con gli stessi pensieri di oggi.
L’ho poi rivisto l’omino dell’Opel Corsa.
Era il 2021, l’anno dopo il covid, e in parte portavamo ancora la mascherina.
Lui si ricordò di me. Erano passati oltre 10 anni dal nostro primo incontro.
Per scherzo gli chiesi: E l’Opel Corsa? E le ruote?
Lui sorridente mi rispose: Ingegnè che ne sapit vuie. S’a so rubata.
E io tra me e me pensai:
Art. 15 D.Lgs. 81/08 Misure Generali di tutela: È prioritaria l’eliminazione dei rischi.

Ing. Carmine Piccolo

Volevo solo fare la pipì

Mi chiamavo Massimo. Si, “mi chiamavo”, perché sono morto nel 2019. Che stupido, pensate, sono morto perché volevo fare la pipì. Eppure ero andato tante volte in quel posto. Era riservato, ma nessuno mi aveva mai “detto niente”. Forse non se n’erano nemmeno mai accorti.

Ero un autista di una ditta di trasporti bitumi, e andavo quasi tutti i giorni nello stabilimento a caricare il bitume che poi portavo sull’autostrada che stavano costruendo. Posizionavo il camion sotto la benna di carico, e mentre il bitume “scivolava” nel cassone io ne approfittavo per fare la pipì. Il locale era aperto, e non ci stava nessun segnale. Io entravo e poi uscivo.

Ma quel giorno, quel maledetto giorno, la benna di caricamento si è messa in moto e mi ha colpito alla testa. E sono morto. Hanno fatto anche un processo per capire di chi fosse la colpa. Da lassù ho sentito che il mio consulente, anzi quello di mia moglie, ha detto che quel locale doveva restare chiuso. Anzi ha detto di più. Ha detto che il macchinario non era marcato CE e doveva essere reso a norma come previsto dall’art. 70 comma 2 del D.Lgs. 81/08 e dall’allegato V.

Io non ne capisco niente di leggi e di norme. Ma una cosa l’ho capita. Che se ci fosse stata una porta chiusa con un lucchetto, e un dispositivo di blocco del macchinario in caso di apertura, io forse non sarei morto. Ma io non sapevo niente di tutto questo. Io entravo nello stabilimento, firmavo la bolla, caricavo il camion ed andavo via. Non sapevo nemmeno se nello stabilimento ci stavano i gabinetti. Figuratevi che sono morto senza scarpe di sicurezza e gilet ad alta visibilità, e non avevo nemmeno il tesserino identificativo previsto dall’art. 26 del D.Lgs. 81/08. Ma anche questo l’ho scoperto dopo. Lo ha detto il mio consulente al processo. Ma non gli hanno creduto purtroppo!

Anzi, nella sentenza di primo grado hanno scritto che io sono morto per comportamento negligente ed imprudente… per una ragione rimasta ignota. E ancora che le risultanze testimoniali e documentali acquisite nel corso del dibattimento, hanno smentito tutti gli assunti sostenuti dal mio consulente nelle conclusioni del suo elaborato (scritto peraltro senza aver mai preso visione del manufatto in questione). Ossia, non è vero che il macchinario non marcato CE dovesse essere adeguato a quanto previsto dall’Allegato V del D.Lgs. 81/08, e non è vero che il preposto non aveva vigilato sui miei comportamenti. Questo aveva scritto il mio consulente nelle sue conclusioni. E non ultimo, che senso aveva andare a visionare un macchinario non marcato CE per il quale l’ASL competente aveva prescritto la messa a norma proprio come previsto dall’Allegato V del D.Lgs. 81/08, prescrivendo l’installazione di una barriera che impediva l’accesso al locale, con segnaletica idonea e blocchi sulle aperture. Alla fine nella sentenza è scritto che il mio comportamento ha determinato un “rischio eccentricocon conseguenti atteggiamenti anomali e stravaganti.

Cioè sono morto per colpa mia!  E quindi tutti assolti. E non è finita qui.

L’INAIL ha provveduto a sospendere la rendita erogata a favore di mia moglie in quanto dalla sentenza è emerso che la causa esclusiva del mio infortunio mortale sia stato il mio comportamento “abnorme” e imprudente. Che rabbia. Ma nella vita per fortuna ci sono i super eroi. Anzi i super avvocati.

E il mio super avvocato (quello anziano questa volta) in Corte di Appello è riuscito a far emergere la verità, e nella sentenza c’è scritto che Il giudice nel mandare assolti gli imputati non ha tenuto conto che nessuna eccentricità vi può essere nel comportamento di un lavoratore che venga a contatto con un macchinario pericoloso se l’area in cui lo stesso si trova non è assolutamente preclusa. Proprio come aveva detto il mio consulente. Ma il giudice in primo grado non gli aveva creduto.

Per fortuna la verità vince.

Il Datore di lavoro e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dello stabilimento sono stati condannati al risarcimento civile, e l’INAIL ha riconosciuto la rendita a mia moglie per fortuna.

Tutto bene quello che finisce bene.
Ma che dico. Io sono morto.
E solo perché volevo fare la pipì.

 

Ing. Carmine Piccolo

 

 

Omertà

Qualche giorno fa ho partecipato ad un bellissimo progetto che ha visto la partecipazione di numerosi studenti delle scuole superiori. In particolare erano futuri geometri. Come ingegnere ho sempre avuto grande stima dei geometri, come anche dei periti industriali! Non so… ma mi sembra che sappiano sempre qualcosa in più di noi ingegneri (parere strettamente personale).

Comunque. Erano futuri geometri dell’ultimo anno di alcune scuole di Napoli e Provincia. Non tutti erano interessati alla materia della sicurezza negli ambienti di lavoro, e non è stato facile renderli partecipi della materia proposta. Ma mi hanno colpito gli interventi di Vittorio e di Saman che hanno qualcosa in comune che vi dirò.

Vittorio ha chiesto quale fosse la prima sensazione che si prova quando accade un incidente sul lavoro. Mi è venuto spontaneo rispondere: l’omertà.
Si, proprio l’omertà dei colleghi di lavoro dell’infortunato. Coloro che non sempre sono collaborativi nella ricerca delle cause e dei responsabili che hanno determinato l’incidente nel suo evolversi. Omertà che nasce dalla paura, dal timore di esporsi o di subire “ritorsioni” dovute a inadempienze normative e contrattuali che potrebbero poi ritorcersi contro i datori di lavoro, con la paura di “perdere” l’impiego.

E alla mia affermazione di omertà, anche gli insegnanti che accompagnavano gli studenti hanno risposto allo stesso modo: anche nell’ambito scolastico, infatti, l’omertà prevale, per “difendere” il compagno di classe piuttosto che per individuare le responsabilità dei singoli.

Saman, probabilmente una ragazza originaria dello Sri Lanka, ha invece chiesto cosa si sarebbe potuto fare per il suo papà, rimasto infilzato con un ferro in una spalla, e che non aveva denunciato l’infortunio.
Omertà: anche stavolta è stata questa la risposta. Omertà che nasce, a mio parere, dalla paura di denunciare il datore di lavoro, da parte di un lavoratore non inquadrato, extracomunitario e chiaramente anche sottopagato. E la cronaca di questi mesi è piena di notizie del genere.

E allora sono andato sulla Treccani ed ho cercato: omertà.

In origine, la consuetudine vigente nella malavita meridionale (mafia, camorra), detta anche legge del silenzio, per cui si doveva mantenere il silenzio sul nome dell’autore di un delitto affinché questi non fosse colpito dalle leggi dello stato, ma soltanto dalla vendetta dell’offeso. Più genericamente, nell’uso odierno, la solidarietà diretta a celare l’identità dell’autore di un reato e, con senso ancora più estens., quella solidarietà che, dettata da interessi pratici o di consorteria (oppure imposta da timore di rappresaglie), consiste nell’astenersi volutamente da accuse, denunce, testimonianze, o anche da qualsiasi giudizio nei confronti di una determinata persona o situazione: tutti sapevano, ma nessuno osò infrangere il muro dell’omertà.

Ed è il “tutti sapevano” che mi fa paura. Che è quello che poi si scopre dopo un incidente.

La materia della sicurezza sul lavoro è molto complessa, per niente semplice, e ha bisogno di certezze per sapere dove intervenire, dove migliorare, dove modificare, come formare, come programmare per eliminare e/o ridurre il numero degli infortuni mortali e non.

E sicuramente l’assenza di verità (e cioè l’omertà) non può essere di aiuto.

Ing. Carmine Piccolo

È colpa di Gennaro

Si chiamava Gennaro.
È morto circa 10 anni fa in un pomeriggio d’estate, mentre riportava un mezzo d’opera in deposito.
È morto perché non indossava la cintura di sicurezza. È morto perché la presenza di una pavimentazione non idonea e di blocchi di muratura non posizionati correttamente hanno causato il ribaltamento del mezzo. E Gennaro per cercare di salvarsi si è lanciato dal mezzo d’opera, restando schiacciato mortalmente dallo stesso.

Gennaro non aveva mai partecipato ad un corso di formazione. Quei corsi che ti insegnano a “non morire”. Quei corsi che ti fanno capire a cosa serve indossare la cintura di sicurezza. Ma non era dovuto che Gennaro partecipasse a quel corso. Si, proprio quello obbligatorio previsto dall’Accordo Stato Regioni del 22/02/2012. Si, proprio quello!

Gennaro il mezzo lo aveva sempre utilizzato, quindi il corso non era necessario. Tanto Gennaro erano anni che utilizzava il mezzo. Che bisogno c’era di fare un corso se Gennaro “aveva sempre fatto cosi” e non era mai successo niente?!

Ma quel pomeriggio d’estate le cose non sono andate come gli altri giorni. Il mezzo si è ribaltato. E per l’istinto di salvarsi Gennaro si è lanciato.

E allora? Forse se qualcuno gli avesse spiegato che “l’istinto” di lanciarsi è proprio la causa dell’incidente mortale sui muletti e sui mezzi d’opera forse Gennaro sarebbe salvo. E quel pomeriggio Gennaro, stanco e sudato, sarebbe tornato vivo e vegeto a casa sua dalla moglie e dai figli.

Sono trascorsi dieci anni, e ancora nelle aule di tribunale si attende di chi sia la colpa. Nel mentre Gennaro non c’è più. E da qualche parte negli atti del Tribunale c’è scritto che “l’incidente è avvenuto per la sola ed esclusiva responsabilità di Gennaro che non utilizzava la cintura di sicurezza”.

Si, forse è colpa di Gennaro: la colpa di non aver utilizzato la cintura di sicurezza e di essersi lanciato dal mezzo per andare a morire. E allora gridiamo forte a tutti i Gennaro che allacciare la cintura di sicurezza ti salva la vita. E ricordiamo a tutti i Datori di lavoro che la colpa non è mai di Gennaro. In particolar modo se non ha mai partecipato ad un corso di formazione!

Ing. Carmine Piccolo